Centro risoluzione dispute domini
C.r.d.d.


Procedura di riassegnazione del nome a dominio
escada.it

Ricorrente: EscadaA.G. (Dr. Ing. Guido Modiano)
Resistente: Call Center Solutions S.r.l..
Collegio (unipersonale): avv. Tiziano Solignani

Svolgimento della procedura

Con ricorso pervenuto alla Crdd via e-mail  il 17 dicembre 2001 la ESCADA AG, corrente in Margaretha Ley Ring 1, 85609 Asheim/Munchen, Germania, in persona della Sig.ra Beate Rapp, membro del consiglio di amministrazione della Escada AG., rappresentata e difesa dal Dr. Ing. Guido Modiano della Dr. Modiano & Associati S.p.A. di Milano, via Meravigli, 16, introduceva una procedura di riassegnazione ai sensi dell'art. 16 delle vigenti regole di naming per ottenere il trasferimento del nome a dominio ESCADA.IT, registrato dalla Call Center Solutions S.r.l., in persona dell’amministratore unico Nathalie Golia, con sede in Via Lucania 70, 74110 Taranto.

In data 17 dicembre 2001 la segreteria della Crdd verificava l'intestatario del nome a dominio sul data base whois della Registration Authority, nonché la pagina web risultante all’indirizzo www.escada.it

 Le verifiche consentivano di accertare in particolare:
· che il dominio escada.it risultava assegnato alla Call Center Solutions S.r.l. dal 25 gennaio 2000; 
· che il dominio ESCADA.IT era stato sottoposto a contestazione, registrata sul data base della R.A. il 28 maggio 2001;
· che all’indirizzo www.escada.it corrispondeva una sola pagina nella quale appariva la seguente dicitura: «Forbidden - You don’t have permission to access / on this server » (Vietato - Tu non hai il permesso di accedere su questo server).

In data 18 dicembre 2001 perveniva anche l'originale cartaceo del ricorso. Verificatane la regolarità, il 19 dicembre 2001 la segreteria della Crdd provvedeva ad inviare per raccomandata e via e-mail alla resistente copia del ricorso e della documentazione ad esso allegata; contestualmente, copia del ricorso veniva inviato per posta elettronica alla Naming Authority e alla Registration Authority.

Il ricorso risultava pervenuto alla Call Center Solutions in data 22 dicembre 2001. Da tale data decorrevano quindi i 25 giorni concessi dalle procedure di riassegnazione per le repliche del resistente. Il 14 gennaio 2002 pervenivano a CRDD le repliche della Call Center Solutions. Il 17 gennaio la CRDD provvedeva a designare quale saggio il sottoscritto avv. Tiziano Solignani, il quale accettava l'incarico in data 19 gennaio 2002.

Allegazioni della ricorrente.

 Ha sostenuto la ricorrente di essere titolare del marchio internazionale "Escada", corrispondente al nome a dominio contestato, sulla scorta di relativi certificati di registrazione del marchio sia in Italia che all'estero. Dall'esistenza di un diritto di privativa, di natura internazionale, a favore della ricorrente sulla denominazione "Escada" deriverebbe poi la inconfigurabilità, anche in astratto, in capo alla resistente di un diritto al nome di dominio contestato corrispondente. Inoltre, la mala fede della ricorrente nella registrazione del dominio risulterebbe, secondo la ricorrente, dalla circostanza per cui del dominio stesso non è mai stato fatto uso, dal fatto che la resistente è stata resa oggetto in altre occasioni di procedure di riassegnazione per domini corrispondenti a noti marchi di impresa, conclusesi sfavorevolmente, dalla assenza di qualsiasi collegamento tra la denominazione "Escada" e la ragione sociale o i prodotti o l'attività della resistente Call center solutions.

Allegazioni della resistente.

Ha replicato la resistente innanzitutto evidenziando la diversità di funzione tra dominio da un lato e marchio o insegna dall'altro, dal punto di vista dell'utilità che ne può ricavare l'imprenditore in termini di indirizzamento della clientela e sotto il profilo del funzionamento concreto che il nome di dominio riveste rispetto ad un consumatore intento a rinvenire la presenza di una determinata società su internet. Ha poi evidenziato come scopo della stessa Call center solution sia "creare, gestire e commercializzare servizi informatici che non vanno confusi con i prodotti e servizi che eventualmente trovano uno spazio promozionale all'interno dei siti così gestiti". La ricorrente ha poi concluso sostenendo che "il criterio sul quale si basa l'iter di assegnazione dei d.n. utilizzato dalla Registration Authority Italiana si fonda esclusivamente sulla priorità temporale della richiesta (c.d. first come, first served), considerando il nome iscritto come una sequenza di lettere avente 'la sola funzione di identificare univocamente gruppi di oggetti presenti sulla rete' ". 

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Come noto, per ottenere la riassegnazione di un nome a dominio il ricorrente deve dimostrare che il nome a dominio è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio su cui egli vanta diritti e che lo stesso nome è stato registrato e mantenuto in mala fede. Di fronte alla dimostrazione, offerta dal ricorrente, della ricorrenza di questi due presupposti, il resistente, se non intende perdere l'uso del nome di dominio, deve dimostrare di avere un diritto o titolo in relazione al dominio stesso. 

A) 
Circa il primo presupposto per la riassegnazione, cioè la identità o confondibilità del nome a dominio con un marchio registrato, si ritiene che si possa senz'altro ritenerne la ricorrenza. Il dominio oggetto di contestazione, infatti, è congruente alla denominazione oggetto di privativa a favore della ricorrente, così come comprovato dalla documentazione in atti. Il nome di dominio escada.it corrisponde infatti sia al marchio registrato a favore della ricorrente sia alla stessa ragione sociale della medesima. Stante tale duplice corrispondenza, sotto questo profilo non vi sono particolari problemi e si può ritenere senz'altro la sussistenza del requisito in questione. In caso di perfetta congruenza non si pone, infatti, il problema della idoneità della denominazione integrata nel nome di dominio a creare confusione con la ulteriore denominazione oggetto di privativa, dal momento che in tali ipotesi la potenzialità confusiva ben può ritenersi sussistente in re ipsa per effetto della coincidenza totale delle denominazioni coinvolte.

B) 
Circa il secondo requisito, cioè l'avvenuta registrazione da parte della resistente del dominio in mala fede, ritiene questo saggio che la ricorrenza dello stesso sia rinvenibile dal contenuto del sito costruito dalla resistente, attualmente inattivo, così come inserito nel contesto del comportamento e dell'azione complessiva svolta dalla resistente sulla rete internet. 

Come è stato evidenziato nel corso della procedura, infatti, il sito web corrispondente al dominio escada.it, attualmente nella disponibilità della resistente, è privo di contenuto, quindi sostanzialmente inattivo e inutilizzato. In tale contesto, la resistente, nelle sue difese, non solo non ha asseverato di essersi preparata a far uso del dominio, ma non lo ha nemmeno asserito, mancando qualsiasi riferimento in tal senso, ragione per cui se ne deve concludere che del dominio in questione, ad oggi, la resistente non ha fatto alcun uso, nemmeno preliminare.

La resistente, inoltre, risulta documentalmente (doc. n. 19 parte ricorrente) da una ricerca eseguita per stringhe nei database dell’IT-NIC, essere titolare  di una serie veramente numerosa di domini, corrispondenti a marchi registrati, nomi di personaggi famosi, trasmissioni televisive, ragioni sociali o denominazioni di imprese. Tale circostanza è indice di un generale utilizzo non fisiologico da parte della resistente dei meccanismi di assegnazione dei nomi di dominio e la stessa, mentre non sarebbe certamente sufficiente di per sé sola ad integrare il requisito della mala fede nella presente procedura, consente comunque di meglio apprezzare e interpretare le altre risultanze che, sul punto, presenta il caso in esame.

C) 
Fornita dal ricorrente la duplice prova cui lo stesso è onerato dalle regole di naming, occorre ora vedere se la società resistente possa essere ritenuta aver fornito la dimostrazione, idonea a paralizzare la fattispecie di riassegnazione, di essere titolare di un diritto o titolo all'uso del dominio in questione. Questa prova può dalla resistente essere fornita, oltre che in via diretta, anche tramite la dimostrazione delle circostanze previste dall'art. 16.6 delle regole di naming, che costituiscono presunzioni iuris et de jure dell'esistenza del titolo. 

Come noto, infatti, il resistente è ritenuto avente diritto al mantenimento del dominio, nonostante le prove offerte da controparte, se dimostra: 
1) che prima di avere avuto notizia della contestazione in buona fede ha usato o si è preparato oggettivamente ad usare il nome a dominio o un nome ad esso corrispondente per offerta al pubblico di beni e servizi; 
2) che è conosciuto, personalmente, come associazione o ente commerciale con il nome corrispondente al nome a dominio registrato, anche se non ha registrato il relativo marchio; oppure 
3) che del nome a dominio sta facendo un legittimo uso non commerciale, oppure commerciale senza l'intento di sviare la clientela del ricorrente o di violarne il marchio registrato. 

Orbene, nel caso concreto non sembra ricorrere nessuna di queste tre circostanze. In realtà, il mancato utilizzo da parte della resistente del sito, e la mancata dimostrazione, che come si è visto non è stata nemmeno prospettata, dell'esistenza di preparativi per l'uso, impediscono di poter ritenere sussistenti le circostanze di cui ai numeri 1 e 3 della disposizione in esame. Quanto alla circostanza sub n. 2, anche questa deve ritenersi difettare nella fattispecie in questione, stante la radicale diversità tra la ragione sociale della resistente e la denominazione relativa al nome di dominio in contestazione. Né la resistente ha saputo indicare un qualsiasi collegamento tra la propria denominazione ed eventuali ulteriori segni distintivi di sua pertinenza e il nome di dominio oggetto di contestazione.

Occorre pertanto a questo punto esaminare se la resistente possa, al di là dell'assenza delle tre presunzioni di cui sopra, essere ritenuta comunque titolare di un diritto all'uso del nome di dominio, che sarebbe pertanto stato acquisito aliunde. L'onere della prova sul punto grava sulla resistente la quale, di fronte alla avvenuta dimostrazione da parte della ricorrente dei requisiti della confondibilità e della mala fede, deve dimostrare il titolo in base al quale dispone legittimamente del dominio contestato. 

In tale contesto, la resistente si è limitata a sottolineare la diversità o comunque l’autonomia del nome di dominio rispetto ai segni distintivi tradizionali dell’impresa, facendo riferimento al principio del first come, first served in base al quale dovrebbe, secondo la ricorrente, essere comunque riconosciuto il diritto di chi ha provveduto per primo alla registrazione di un nome. Pertanto, secondo la resistente, non sarebbero applicabili, nel campo dei nomi di dominio, le disposizioni poste a tutela dei segni distintivi ed in questo ambito l’unico criterio valido sarebbe quello della poziorità del diritto di chi registra per primo.

In realtà, si tratta di un principio che - se è stato utilizzato ed è tuttora, in assenza di altri criteri, impiegato di fatto nella prassi della registrazione dei nomi di dominio - è sempre stato privo di rilevanza sul piano giuridico, dal momento che sullo stesso sono destinate a prevalere le norme dell'ordinamento giuridico statuale. Attualmente, lo stesso è inoltre esplicitamente superato anche in sede amministrativa dalle previsione delle procedure di riassegnazione che appunto si fondano su criteri diversi e ben più sostanziali di quello della priorità della registrazione.

Quanto all’autonomia del nome di dominio rispetto agli altri segni distintivi dell’imprenditore o comunque agli altri beni immateriali sulla stessa si può senz’altro concordare, anzi le stesse regole di naming e l’esistenza stessa di una procedura amministrativa per la riassegnazione dei nomi, che si basa su criteri sostanziali propri che possono non coincidere con quelli posti dall’ordinamento statuale generale, confermano la ridetta autonomia. Ma, pur in questo quadro, la resistente non ha fornito la prova dell’aver acquisito un diritto sul nome a dominio, pur sempre necessario per mantenere lo stesso, stante la inconferenza del principio first come, first served. La resistente non sembra pertanto potersi ritenere avere nemmeno indicato un diritto al nome di dominio oggetto di contestazione, quand'anche in astratto fosse concepibile nella fattispecie oggetto del presente giudizio nella quale la ricorrente è titolare di un diritto all'uso di marchio registrato che le conferisce una privativa.

P.Q.M.

Visto l’art. 16.6 delle vigenti Regole di Naming italiane, si dispone il trasferimento del nome a dominio “escada.it” dalla Call Center Solutions S.r.l. alla ESCADA AG. La presente decisione viene comunicata alla Registration Authority italiana perché le venga data esecuzione secondo quanto previsto dall’art. 16.11 delle Regole di Naming.

Vignola, 4 febbraio 2002

Avv. Tiziano Solignani
 

 


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